Domenica
18 agosto 2002
Mario Messi
C’era una volta una lupa dell’Alto Lazio rimasta orfana nella
tana.
Un cacciatore la trovò e la allattò col biberon. Fu così che
nacque il “canis lupus italicus familiaris” |
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L’uomo che finì in bocca al lupo
“Mi sono ridotto in miseria per creare un animale che prima non
esisteva”
“Noi
abbiamo creato un animale che non esisteva prima di noi e che ci sarà
ancora dopo di noi”. Poiché a pronunciare la sentenza con tale
sovrabbondanza di plurale maiestatico era una persona sola, ho avuto il
sospetto che Mario Messi si senta una specie di vice Dio. Il sospetto
c'è’rafforzato a questa seconda sortita: "I“ nostro è il solo esempio in
tutto il mondo di uno sforzo di importanza e mole eccezionali, che ha
prodotto un’impresa unica, compiuto da un solo uomo” . Quando poi ho
scoperto che prova un senso di ribellione e una grande amarezza se
qualcuno osa paragonarlo a “quel palancaio di Konrad Lorenz”, premio
Nobel per la fisiologia e la medicina, il sospetto è divenuto quasi
certezza. Infine certezza appena giunto davanti al suo quartier generale
di Cumiana (Torino): Messi, allenato a camminare sulle acque, pretendeva
di farmi parcheggiare l’auto sorvolando una canaletta per usi irrigui
profonda 30 centimetri.
Con i prodigi ha una certa dimestichezza. Per esempio definisce “un
miracolo genetico” la nascita del lupo italiano, canis lupus italicus
familiaris. La sua creatura. Una pazza idea, pattypravaniamente
parlando. Un eccentrico progetto scientifico che lo ha distolto dagli
affetti familiari –moglie e tre figli- e gli ha portato via anni di
vita,miliardi, sonno, tranquillità.
C’era una volta – potrebbe cominciare prorpio come Cappuccetto Rosso
questa storia – una lupa selvatica che venne catturata a pochi giorni di
vita da un cacciatore e allevata in famiglia. Divenuta adulta, si unì al
cane del cacciatore, un bell’esemplare di pastore tedesco. Dopo due
mesi, la lupa partorì una cucciolata. Messi, appassionato cinofilo,
selezionò il più lupo fra quegli strani cagnolini: Zorro. Era l’anno
1966: nasceva il lupo italiano.
Il guaio è che adesso, trascorsi 36 anni, rischia di morire, per
estinzione. “Non perché non ve ne siano più, anzi sono 650 quelli che ho
dato in giro per l’Italia”, informa Messi, presidente dell’Etli (Ente
Tutela Lupo Italiano). “Ma non abbiamo, non ho, un soldo per
mantenerli”, e ciò detto mi rovescia sotto il naso il portafogli, “ecco
qui, mi resta solo una banconota da dieci euro”. Se l’ha preparata, l’ha
preparata bene.
Dopodichè il bambino che non fu mai figlio della lupa, lo studente che
imparò a scrivere e a parlare il greco antico con il reverendo don
Calzaferri al liceo classico Sarpi di Bergamo, il letterato che si
laureò con una scomoda tesi su Saffo, l’economista che studiò con Luigi
Einaudi, l’antifascista che fu fatto nero dagli squadristi a suon di
legnateil liberale che voleva fondare a Torino un quotidiano con Manlio
Brosio, adesso vorrebbe predirmi gratis il futuro, come una zingara
qualsiasi di Raiuno. Ma anche questo diventa, nella sua liturgia, un
esercizio soprannaturale, irripetibile: “Sono l’unico a sapere come si
legge la mano. Una regina dei nomadi me lo insegnò quando avevo 6 anni”.
Le due figlie pensano che il padre sia un extraterrestre. Forse hanno
ragione. Non c’è verso di fargli dire la data di nascita, manco fosse
Simona Ventura. E poi anche l’aspetto è quello: mingherlino, diafano, lo
sguardo che ogni tanto si perde nel vuoto, i discorsi che seguono una
loro logica imperscritabile, aliena, fuori dal mondo. Torna a casa,
Messi.
Non ho capito: ha creato un cane o un lupo?
“Il lupo italiano”
Ma non c’era già il lupo italiano?
“C’era il lupo selvatico, canis lupus dell’alto Lazio, d’Abruzzo, del
Pollino, della Sila. Io ho creato il lupo italiano domestico”.
Come ha fatto?
“Un cacciatore che andava a spasso nell’Alto Lazio trovò una cucciola di
lupa”
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