Storia dell’ex bancario Messi, ha speso miliardi per salvare il Lupo italiano
C'è un grande mistero nella storia di Mario
Messi.
Perché ha deciso di dedicare oltre metà della sua vita e tutti i sui averi al Lupo italiano. Non lo ha confessato nemmeno a «Ultimo», il comandante dei
Ros che ha arrestato Totò Riina.
Custode di questo segreto potrebbe essere Zorro, «il figlio della lupa», il capostipite della razza canina geneticamente perfetta che sta rischiando di scomparire per l'incapacità del Parlamento italiano, dal 1991, di emanare una legge di finanziamento.
Trentatré anni fa a Mario Messi, presidente per la
Tutela del Lupo italiano, ex dirigente bancario, è riuscito in ciò che mai nessuno era stato capace di fare: dare vita a una razza canina unica, universalmente riconosciuta come perfetta. Il sogno di Konrad Lorenz, padre della moderna etologia, che tentò negli anni Trenta di incrociare una lupa con un Chau Chau.
Era il 1966, da una lupa italiana e da un pastore tedesco nacque un tesoro genetico irripetibile, che da 33 anni a questa parte viene gelosamente difeso da chi si presenta scodinzolando per farne un grande affare. «Se si riuscisse a vendere il lupo italiano - spiega il presidente - si potrebbero guadagnare valanghe di denaro, ma nel giro di due generazioni la sua purezza si perderebbe, insieme con la sua capacità di apprendere, con la sua intelligenza e il suo equilibrio psicologico». Sicuramente, a venderlo, si guadagnerebbe molto di più di quella montagna di soldi che il professor Messi ha speso per costruire il centro di
Cumiana, per sostenere questa raffinatissima miscela di Dna. Terreni, ville e tutti i beni, raccolti di generazione in generazione, per quello che i francesi hanno definito “ il miracolo italiano a quattro zampe".
Dalla nascita di Zorro, Messi, ha abbandonato le sue attività.
Ora, mentre a Cumiana continuano i lavori di ristrutturazione, la sede dell'Ente di tutela è in una buia stanza nel centro di Torino. Il professore riceve in una stanza di 15 metri quadrati, piena di cimeli, di foto, di ricordi, di premi. Con le sedie accatastate sopra i tavoli «perché i cani che stanno con me giù a Torino - racconta - quando rimangono soli mordono tutto».
Dicevamo dei cimeli. C'è il Passamontagna di «Ultimo» con tanto di dedica: «Io sono amico del Lupo Italiano che ha disegnato sogni stupendi nel nostro cuore».
E poi ci sono le foto della tragedia di Sarno, nel 1998 con
Ari impegnato per giorni nella ricerca dei corpi sotto il fango, di Lougy che nel terremoto del Cairo del 1992 salvò una persona sepolta sotto le macerie da oltre tre giorni. E ancora foto dell'ultimo terremoto in Turchia, di Stefania Belmondo, madrina dell'Ente. Una vita di ricordi, di successi, di quella che è una vera propria
dinastia.
Nel nostro paese, infatti, solo per il Lupo italiano è possibile - in collaborazione con l’Istituto per la difesa e la valorizzazione del
Germoplasma - ricostruire le parentele tra un esemplare e l'altro attraverso l'esame del Dna.
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